Quasi un anno fa, il quotidiano "Il Foglio" pubblicò questo articolo sulla
drammatica vicenda del bambino abortito a ventidue settimane, sopravvissuto
all'aborto, rinimato tardivamente e morto dopo una settimana. Una vicenda
sconvolgente, che ebbe una grande risonanza anche a livello nazionale. E che
turbò profondamente Dicomano, il paese del
Pubblichiamo
integralmente l’articolo (ora sulla tomba il nome è stato scritto), come
occasione di riflessione e di ricordo.
La tomba bianca senza nome, il funerale con la croce, il sacerdote, il
cimitero, le ecografie
Al centro del giardino nel cimitero di Dicomano (cinquemila abitanti, sessanta
chilometri da Firenze) il custode Daniele è seduto sopra una ruspa rossa.
Tommaso doveva essere seppellito proprio lì, in mezzo alle altre tombe del
giardino. O almeno così credeva Daniele fino al giorno in cui i genitori di
Tommaso salirono in cima a via Sandro Pertini, si avvicinarono al cimitero e
chiesero proprio a lui di poter entrare dalla porta nascosta sul retro del più
importante dei tre cimiteri del paese. E’ il dieci marzo ed è sabato. Il
cimitero di Dicomano sarebbe aperto dal lunedì al venerdì, ma quel giorno
Daniele non ci pensò due volte e aprì il cancello sul retro proprio per
Daniele quel giorno non ci pensò, aprì il cancello sul retro, fece entrare la
mamma trentacinquenne, fece entrare don Collini, fece entrare il marito della
mamma, i parenti di lui, i parenti di lei e il figlio di otto, quasi nove anni,
che l’anno prossimo finirà la scuola elementare. Nel cimitero di Dicomano
c’erano al massimo undici persone di fronte alla bara che qualcuno dice fosse
nera, qualcun altro dice essere stata marrone, certamente non bianca e
certamente abbastanza piccola da contenere i venticinque centimetri e i
cinquecento grammi del corpo di Tommaso.
Tommaso sarebbe molto probabilmente andato nella stessa scuola del fratellino di
otto anni,
Poche ore prima la mamma di Tommaso aveva deciso di abortire. E’ lunedì ventisei
febbraio. Sette giorni prima la mamma aveva ricevuto una nuova conferma.
L’ennesima. Aveva scelto di consultare un nuovo ginecologo (era il terzo) e
aveva appena cercato di capire il significato della nuova ecografia. In poco più
di due mesi, la mamma di Tommaso aveva già consultato nove specialisti. Ma anche
quel giorno sentì quella frase: “Sospetto di malformazione”. La mamma di Tommaso
era molto agitata, come ricorda chi era in quella stanza. La visita continua,
dura ancora un po’, il ginecologo ripete che la malformazione potrebbe essere
“di vari gradi di serietà”, ma ripete che la stessa malformazione potrebbe
essere “correggibile chirurgicamente in maniera più o meno semplice”. Tutto
dipende dal grado della malformazione, e per capire il grado della malformazione
c’è solo un modo: partorire. La visita dura ancora un’ora, la mamma di Tommaso
racconta al ginecologo che nella settimana precedente un chirurgo di sua
conoscenza le aveva spiegato che l’atresia esofagea è in realtà una
malformazione piuttosto grave. Trascorre un’altra ora, i medici propongono alla
madre una risonanza magnetica. La mamma di Tommaso non accetta, è sempre più
agitata, decide di lasciar passare ancora una settimana e poi – il ventisei
febbraio – altra ecografia, lo stomaco non si vede ancora ed è quel giorno che
la mamma di Tommaso parla con i medici. E’ in quel momento che decide di
abortire ed è in quel momento che scopre che per farlo – dopo la ventunesima
settimana, come previsto dalla legge 194 – serve il certificato dello
psichiatra.
Tommaso nasce alle quindici e quarantadue minuti del due marzo. E’ un venerdì.
La stessa mattina la mamma – che non sapeva ancora che sarebbe diventata madre
per la seconda volta – aveva appena ricominciato il ciclo per “l’interruzione di
gravidanza”. Poche ore dopo, l’ostetrica – come si legge dal referto –
“riscontra l’espulsione del feto e della placenta e provvede alla separazione
del primo dalla seconda”.
Tommaso era nato, ma tra le quindici e quarantadue minuti e le quindici e
cinquantacinque minuti l’unico a sapere di non essere un “feto non vitale” era
lui. Passano tredici minuti, sono le quindici e quarantaquattro, l’ostetrica si
alza, prende Tommaso e lo porta dentro una stanza. Qui, Tommaso, sarebbe stato
sottoposto ai cosiddetti prelievi per la “citogenetica”, cioè gli esami in grado
di studiare la morfologia dei cromosomi di Tommaso. Un esame che viene
generalmente effettuato subito dopo le interruzioni di gravidanza. Alle quindici
e quarantotto la mamma di Tommaso era ancora sveglia. L’ostetrica torna in
stanza, le si avvicina con un modulo in mano. Tutto come da prassi. La
citogenetica, l’espulsione, il ciclo con gli ovuli e poi il modulo. Il modulo si
chiama “consenso all’interramento”. La mamma lo firma, l’ostetrica esce dalla
stanza, il ginecologo anestetizza la mamma, l’ostetrica torna da Tommaso e gli
passa un po’ di acqua sotto
Nella stessa settimana in cui Tommaso nacque come Paolo, nello stesso ospedale,
nello stesso reparto e con la stessa equipe che aveva fatto nascere il futuro
Tommaso, arriva una coppia di ragazzi. La coppia aveva scelto di far nascere un
bambino con lo stesso problema che avrebbe potuto avere
Don Collini è uno dei due preti di Dicomano. Dalla collina – dalla quale ogni
giorno scende e sale a piedi in diciotto minuti – fino ai portici, quella è zona
sua. L’altro parroco abita
All’interno del cimitero,
A Dicomano esiste solo un posto dove si trova scritto il nome di Tommaso e dove
si trova scritto il suo cognome che comincia con
Don Collini è stato uno dei primi a conoscere la storia della madre, la sua
paura, il suo choc, l’aborto e il funerale del figlio. Dice che la storia ha
cambiato il paese, dice che nel paese sono tutti convinti che siano stati i
dottori ad aver sbagliato, dice che il vero problema è che ormai una donna
incinta è considerata come una donna malata, dice che la storia di Tommaso, la
storia della malformazione che c’era e che però poi non c’era è la dimostrazione
che “ormai Hitler ha vinto davvero”. Don Collini parla di eugenetica, e fa su e
giù con la testa.
Sono le sedici e cinquantacinque minuti, è il due marzo, il trasporto protetto
neonatale si allontana dall’ospedale Careggi per andare al Meyer – qualche
chilometro a sud-est di
Il padre è appena stato avvertito del feto che è stato chiamato Paolo e che
sarebbe diventato Tommaso. La mamma dorme ancora. Tommaso ora sta meglio, la
frequenza cardiaca è arrivata a centotrenta battiti al minuto e in casi come
questi i suoi parametri vitali vengono considerati stabili. La mamma si sveglia
e alle diciotto e trenta Tommaso arriva nel reparto di terapia intensiva
neonatale del Meyer. I medici spiegano alla mamma che Tommaso avrà poche
probabilità
di sopravvivere e nella notte tra il due marzo e il tre marzo dopo che a Tommaso
era stato diagnosticato prima un problema eco-cardiaco e poi un’emorragia
intraventricolare di terzo grado, i genitori esprimono verbalmente al direttore
della neonatologia del Meyer “
Tommaso ha ancora cinque giorni di vita, la mamma è sconvolta, il
Al Careggi c’è poi chi parla di un piccolo giallo che andrebbe a inserirsi in
una lunga lotta tra i due ospedali più importanti della città. In particolare
tra i due reparti di neonatologia, del Meyer e del Careggi. Entro pochi mesi,
dei due reparti ne resterà soltanto uno e attualmente quello che rischia di
chiudere sembra essere proprio quello del Careggi.
E gli articoli di Repubblica, le inchieste dell’Espresso e la morte di Tommaso –
raccontano – non hanno aiutato il Careggi a recuperare terreno. Il giallo è
questo. Avviene nella notte tra il due e il tre marzo. Dal Careggi sarebbe
partita la telefonata di una donna che avrebbe comunicato all’esterno il nome e
il cognome della mamma di Tommaso. Una donna che lavora al Careggi ma con molte
conoscenze al Meyer. La cartella della mamma di Tommaso – ricorda un medico che
chiede di non comparire – era stata conservata con una certa attenzione.
Tommaso muore la mattina dell’otto marzo, alle quattro in punto. I genitori di
Tommaso arrivano quarantacinque minuti dopo l’arresto cardiaco. Il primo a
essersi accorto delle condizioni di Tommaso era stato il medico di guardia che
alle quattro e un minuto aveva contattato i genitori. I genitori arrivano
all’ospedale, capiscono che i medici vogliono svolgere analisi più approfondite,
capiscono che dire “analisi più approfondite” e dire “riscontri diagnostici”
significa dire autopsia, portano quindi il corpo di Tommaso al Careggi e il
giorno dopo – i medici del Careggi – spiegano che il cuore di Tommaso ha smesso
di battere per emorragia cerebrale. I genitori tornano in paese, hanno con sé
Tommaso (qualcuno dice che il bimbo fosse proprio in macchina con loro),
l’anagrafe registrerà il certificato di morte, Tommaso arriva a Dicomano, il
giorno dopo il custode Daniele (ma questo non è il suo vero nome) apre il
cancello del retro del cimitero per il funerale.
I genitori ancora oggi preferiscono non parlare, i medici ancora oggi
preferiscono non raccontare, i parenti di lui e i parenti di lei preferiscono
dimenticare quanto successo nei sei giorni in cui Tommaso ha avuto due nomi, ha
cambiato due ospedali, è stato registrato all’anagrafe due volte in dieci
giorni, è nato non vitale, è diventato Paolo – come racconta don Collini – è
diventato definitivamente Tommaso, è esistito per centosei ore e diciotto minuti
e – come dicono a Dicomano – semplicemente ha vissuto per sei giorni.
Domani Tommaso avrebbe compiuto trentuno giorni.
Claudio Cerasa
© il filo, Idee e notizie dal Mugello, febbraio 2008