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La copertina di questo mese
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GUERRA, ELEZIONI, REFERENDUM, RIFLE, TRA APATIA E ANGOSCIA

Non è stata una bella primavera...

Sarà l'incubo della guerra, forse la stagione ancora restia a mostrare i colori e la luminosità della primavera, fatto sta che questo mese di Maggio è arrivato in sordina. La notte del primo maggio non ha risuonato dappertutto dei canti festosi e augurali che ormai eravamo abituati ad aspettare, ad accogliere e ad ascoltare con allegria. I maggiaioli non hanno movimentato la nottata con la loro pacifica invasione; le canzoni, i rispetti, le rime baciate non sono uscite allegre e maliziose e il loro arrivo non ha svegliato di soprassalto i polli addormentati nel pollaio disorientando il gallo e aizzando il cane da guardia.

A maggio si risvegliano gli istinti, il sangue ribolle, un tempo si diceva che anche i matti di maggio subivano una ciclica ricaduta nell'andamento della loro cronica follia. La notte del primo di maggio era anche l'occasione per qualche bravata; mentre i più bravi cantavano in coro nei casolari le combriccole dei più scalmanati vagavano nel buio combinando guai e dispetti e profittando dell'occasione per qualche piccola vendetta e qualche spregio. C'era così chi si trovava la porta di casa murata coi mattoni o qualche bella corona di corna bovine a mo' di stemma sul portone di casa. I vasi di fiori emigravano quasi per magia da una casa all'altra nel giro di una notte. Tutto però con un fondo di allegria e di scherzosa esagerazione, quasi mai con cattiveria perfida. Quest'anno sembra si sia affievolita anche la tradizione di questa sguaiata ventata di follia.

Non è stata una bella primavera questa, la natura ha tardato a svegliarsi, la pioggia fastidiosa e insistente ha accompagnato un periodo non certamente facile per il Mugello. L'economia, mai contraddistinta da grande vitalità, ha seguito l'incedere incerto della primavera e ristagna, il lavoro è spesso in pericolo, l'occupazione è compromessa nel settore dell'artigianato e dell'industria, i lavoratori della Rifle, donne per la maggior parte, affrontano la prospettiva della disoccupazione senza grandi speranze e senza grandi alternative.

L'umore è stanco, la speranza lascia la strada allo scetticismo se non all'apatia. La scarsa partecipazione dei cittadini al referendum per l'abolizione della quota proporzionale nel sistema elettorale nazionale è stato un significativo preambolo alla campagna elettorale per le prossime amministrative. Il consueto fermento preelettorale, le manovre tra le formazioni politiche per la definizione delle alleanze, la scelta dei candidati, il toto-sindaco non sono riuscite a scuotere e a stimolare più di tanto l'interesse e la curiosità. E non sarebbero nemmeno mancate né le novità né le ragioni per attrarre l'attenzione e stimolare il dibattito. Ma la curiosità perfino un po' pettegola che ha sempre animato il periodo precedente le elezioni è sparita nell'angoscia, nel turbamento che scuote qualsiasi indifferenza. Le terribili processioni di disperati in fuga dalla loro terra, i bivacchi disumani di migliaia di disgraziati ammassati l'uno sull'altro per difendersi dal freddo, dal dolore e dalla fame, abbracciati nell'orrore delle violenze subite, delle tragedie vissute, nella vergogna di umiliazioni indimenticabili e nel terrore di un futuro senza prospettive; questo è lo scenario di questa bislacca primavera. E le cronache dei bombardamenti, delle esplosioni micidiali improvvise che distruggono strade, ponti, le case, i posti di lavoro, la certezza del domani, la vita. Il banale giustizialismo da cow-boy di chi vede nella forza e nelle armi la soluzione a tutti i problemi e lo stucchevole pacifismo di maniera di chi si è accorto della guerra solo allo scoppio delle prime bombe e non al susseguirsi delle stragi, delle violenze e degli stupri interminabili che le hanno precedute, hanno fatto da quinta.

Ora siamo tutti presi dallo slancio solidale, viveri, offerte, generi di conforto non mancano alla missione Arcobaleno; le basi militari, fino a ieri postazioni missilistiche minacciose e temute, diventano oggi santuari di solidarietà. Ma il palcoscenico è ancora lontano. E se la scena non bastasse più a contenere il numero crescente degli attori e i protagonisti del dramma straripassero dalla ribalta e invadessero la platea per arrivare fino ai palchi? Se dovesse toccare a tutti condividere la comoda poltrona con uno degli attori disperati fuggiti dalla scena allora si misurerebbe davvero la consistenza della solidarietà.

Speriamo che non ci sia bisogno della prova.

Guido Molinelli

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